Invisible Children & Kony 2012 Campain

  1. Tutto è cominciato così: mi hanno mandato questo video, non avevo la più pallida idea di cosa fosse così, prima di iniziare a vederlo ho letto la descrizione.


    “KONY 2012 is a film and campaign by Invisible Children that aims to make Joseph Kony famous, not to celebrate him, but to raise support for his arrest and set a precedent for international justice. “

    Che traducendolo in Italiano suona così:
    “Kony 2012 è un film ed una campagna di Invisible Children che vuole rendere Joseph Kony famoso, non per celebrarlo, ma per “sollevare” il supporto per il suo arresto e creare un precedente per la giustizia internazionale”.
    La domanda successiva è stata: chi è questo Joseph Kony? A questo punto ho iniziato a guardare il film.

  2. Alla fine del film una serie di emozioni: sconcerto, commozione, sorpresa, dolore ed infine entusiasmo… proprio così: senso di partecipazione per una causa lontana, in un paese di cui non so nulla, un’azione in nome di qualcosa che mi pareva imprescindibile. A questo punto sono andata sul sito della campagna Cover the night – 20 th April Kony 2012 per pianificare la mia azione, e dare il mio contributo. 

    Il passo successivo è stato la condivisione di tutto ciò con i miei contatti Fb, cercavo una squadra di persone che mi appoggiasse e contribuisse all’azione. Ed è stato proprio uno dei miei contatti a mettermi in allarme: “attenta, tempo fa avevano parlato della storia dei bambini soldato ed era nata una polemica”. 
    Non può essere una bufala dico io, tutto troppo ben fatto ma nel dubbio mi sono attivata in rete e questo è quello che ho trovato:
  3. Dalla lettura degli articoli italiani e del video di risposta mi sembra di capire che le critiche mosse alla Ong si possano riassumere in:

     – i milioni di euro raccolti vengono spesi per la realizzazione dei video e per attività che non riguardano la beneficenza in senso stretto

    – Invisible children (da qui in poi IC) supporta il governo del presidente Museveni, al potere da oltre 25 anni, con un regime oppressivo da molti considerato dittatoriale.
    A questo punto leggo anche le repliche di IC e decido di approfondire le critiche che gli vengono mosse.
  4. Secondo questo Blogger il film si “risolve in un falso grossolano” perchè ”
    Kony si può definire come un signore della guerra africano sulla piazza da più di vent’anni” […] 
    a cui ” non corre dietro nessuno e che Invisible Children, che ha immediatamente ottenuto il sostegno di milioni di persone commosse e di celebrità che si sono messe in coda senza saperne nulla, usa il video anche per far pressione sull’amministrazione americana affinché non ritiri il centinaio di “consiglieri militari” che dovrebbero aiutare il regime ugandese a combattere Kony, che però in Uganda non c’è più da anni.”

    Non capisco bene il punto, il documentario è un falso perché in realtà quest’uomo è al potere da più di 20 anni e perché ora non è più in Uganda. Entrambe le questioni vengono però descritte nel documentario dove  il fatto che lui sia ancora al potere viene spiegato con la mancanza di interesse del resto del mondo (e gli Africani che fanno? Perché dobbiamo essere sempre “noi occidentali” a salvarli?); che sia scappato dall’Uganda è vero ma non significa che non stia continuando con i suoi misfatti come ben spiegato in questo articolo di un ex bimbo soldato (ora adulto) che però con crede che la via giusta sia quella militare.
  5. “Since 1989 the government of Uganda has consistently used military campaigns against Kony including major operations like Operation Iron Fist (2001) and Lightning Thunder (2008 – 2009). Operation Lightning Thunder was highly expected to end the war by either capturing Kony alive in his haven in the Congo or killing him. It was carried out by the armed forces of Uganda, the Democratic Republic of Congo, and South Sudan with technical support from the United States government — and still it failed. Instead of ending the war, Lightning Thunder spread the LRA’s atrocities to the Central African Republic as Kony relocated there. The only known result of a decade’s worth of military attacks on Kony is the dispersal of his forces into smaller groups, resulting in new atrocities on civilians including the 2004 Baralonyo attack in the Lira district of Uganda, the Kanga Pa-aculu attack in Pader district, and many others. It is also well known that a majority of the LRA’s soldiers are abducted children, and that he uses these abducted children as human a shields. As a result, any attack will be on the abducted children.”
    Questa testimonianza solleva un’altra questione: quella dell’Uganda che pare emergere dal documentario come un paese vittima che ha subito la situazione perché non aveva le forze per cambiarla. In questo senso ritengo sia molto interessante la risposta di rosebell83 una giornalista-blogger Ugandese: 
  6. Share
  7. Quello che emerge dal video i sostanza è la visione semplicistica fatta dal documentario da cui non emergono le realtà “underground” che stanno cercando di combattere la situazione dall’interno, come se l’Africa ogni volta aspettasse l’uomo bianco per essere salvata. Va bene attirare l’attenzione ma ergersi a unico salvatore contro il nemico nero è fuori luogo. Concetto ripreso anche nell’articolo qui in basso:
  8. Altre reazioni ugandesi che colgono nel segno sono qui:
  9. Emergono poi temi come quello del nuovo colonialismo:  “…The way the campaign is presented–led by a white man’s voice, with groups of predominantly white American activists juxtaposed with survivors/victims who are African–paints a picture of neo-colonialism” .
  10. Viene inoltre ripresa la critica sul fatto che, nel documentario, venga del tutto ignorato il tema di quello che fanno le popolazioni locali:

    “Invisible Children asked viewers to seek the engagement of American policymakers and celebrities, but – and this is a major red flag – it didn’t introduce them to the many Northern Ugandans already doing fantastic work both in their local communities and in the diaspora. It didn’t ask its viewers to seek diplomatic pressure on President Museveni’s administration.” 
    Musa Okwongo per The Independent

    Ci pensa però il blogger Grant Oyston di Visible Children a pubblicare una lista di organizzazioni che operano nell’Africa centrale in alternativa a IC
  11. Lo stesso blogger continua con i dubbi già espressi in merito a bilanci e azioni effettive a sostegno delle popolazioni ugandesi. 
  12. Associated Press sullo stesso tema scrive: “Invisible Children posted rebuttals to the criticism on its website, saying that it has spent about 80 percent of its funds on programs that further its mission, about 16 percent on administration and management, and about 3 percent on fundraising. The group said its accountability and transparency score is currently low because it has four independent voting members on its board of directors and not five, but that it is seeking to add a fifth.” 
  13. Il giornalista ugandese Angelo Izama scrive: “This is because these campaigns are disempowering of their own voices. After all the conflict and suffering is affecting them directly regardless of if they hit the re-tweet button or not. At the end of the day the Kony2012 campaign will not make Joseph Kony more famous but it will make Invisible Children famous. It will also make many, including P.Diddy, feel like they have contributed some good to his capture- assuming Kony is even alive. For many in the conflict prevention community including those who worry about the militarization of it in Central Africa this campaign is just another nightmare that will end soon. Hopefully.”  
  14. Maria Burnett, senior researcher presso lo Human Rights Watch, Africa Division, ha dichiarato: “The US, as far as we know, is trying to advise on how to apprehend, or remove from the battlefield, Kony and his leadership, I have some concerns about what the US longer term plans are and what kind of exit strategy they may or may not have, but working to apprehend LRA leaders and protect civilians is crucial.”
  15. Per quanto riguarda l’altra critica circa l’appoggio di IC al governo dittatoriale Ugandese su questo blog si legge: “Il gruppo di Kony è sulla lista dei terroristi internazionali dal 2001 e sono vent’anni che prospera razziando villaggi e sequestrando bambini che usa a volte come combattenti, ma più spesso come schiavi di un gruppo di fanatici che compiono massacri ed eccidi in nome di Dio. Si poteva far fuori da tempo, ma evidentemente la sua presenza era tanto utile alla propaganda a protezione del regime ugandese, che anche ora che Koni non c’è più, il suo nome e le sue gesta vengono evocate perché gli Stati Uniti continuino a fornire assistenza militare e copertura diplomatica a uno dei peggiori regimi africani o ai suoi vicini, come nel caso del Congo che, investito dalle razzie della banda, ha subito ricevuto offerte per lo stesso genere d’assistenza.”


    E sempre Grant Oyston su Visible children scrive:
  16. A queste affermazioni IC risponde sulla sua pagina così: 

    “We do not defend any of the human rights abuses perpetrated by the Ugandan government or the Ugandan army (UPDF). None of the money donated through Invisible Children ever goes to the government of Uganda. Yet the only feasible and proper way to stop Kony and protect the civilians he targets is to coordinate efforts with regional governments. “

    “Invisible Children’s mission is to stop Joseph Kony and the LRA wherever they are and help rehabilitate LRA-affected communities. The Ugandan government’s army, the UPDF, is more organized and better equipped than that of any of the other affected countries (DRC, South Sudan, CAR) to track down Joseph Kony. Part of the US strategy to stop Kony is to encourage cooperation between the governments and armies of the 4 LRA-affected countries. “
  17. Siamo arrivati al punto delle conclusioni.

    In realtà la questione è complessa, anche perché quello che ho postato è ovviamente una selezione di quello che ho trovato e letto. Di fronte a questa vicenda che mi aveva così entusiasmato, mi sono sentita in dovere di approfondire per capire realmente almeno i tratti principali della vicenda.
    Adesso ho un’idea abbastanza articolata di quello che è accaduto, e ancora accade in Uganda.
    Vorrei chiudere con una riflessione su una considerazione di Grant Oyston su Visible children.

  18. Secondo lui il messaggio che si trae dal documentario è “Anybody can change the world, and it’s easy”.

    Grant afferma che ciò è scorretto, bisognerebbe piuttosto dire che “Anybody can change the world, but it’s difficult. And you should do it anyway.” 

    Io ho un’altra versione invece “Anybody can change the world but we must work together”.
    Penso che sia questo il messaggio del documentario.
    E’ vero che è semplicistico, occidental-centrico e non da il giusto spazio ai veri protagonisti della storia; ma è riuscito ad essere visto da 7 milioni di individui nel mondo che hanno già fatto, e spero faranno ancora qualcosa, per far conoscere questa storia a sempre più persone possibile. 
    IC vuole fermare l’orrore in Uganda e per farlo ha scelto di far leva sulle emozioni. 
    Ha usato una lettura al contrario del concetto di fama. 
    Cosa comporta essere famosi? Essere sotto l’occhio di tutti ed essere giudicati.
    E’ stata questa lettura originale che mi ha spinto a vedere questo documentario oggi e l’aver fatto leva su emozioni positive quali condivisione, sogni, azione e cambiamento mi ha spinto a guardarlo fino alla fine. 
    E’ diverso, diverso dalle solite (passatemi il termine) lagne sul continente africano, la fame e le sue stragi. Con tutti i limiti del punto di vista di un regista occidentale che vuol sempre (o fa’ finta di) voler salvare il mondo.
    In questo caso sono convinta che valga il detto per il quale nel bene o nel male l’importante è che se ne parli. E poi, come avete potuto leggere, tante persone di nazionalità ed estrazione diversa, hanno contribuito a porre i giusti accenti sui temi più controversi, e sulle incongruenze svegliandoci dal torpore dell’ignoranza sulla vicenda.
    Ritengo che l’obiettivo primario di Jason Russell fosse la condivisone e la consapevolezza riguardo alla situazione in Uganda. Una consapevolezza tanto intensa da costringere lo spettatore all’azione; per fare questo si è mosso secondo le nuove regole di questa era social e ha colto nel segno.

N.d.A.

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