Cristiani di Allah – Massimo Carlotto

Mi svegliai un attimo prima che il servo bussasse discretamente alla porta della camera. Il sonno era diventato leggero come una piuma in quelle notti di attesa. Con delicatezza aprii la mano per liberare quella di Othmane che spalancò gli occhi allarmato. Gli accarezzai la barba sotto il mento con un gesto rassicurante e lui sbuffò prima di girarsi su un fianco e continuare a dormire

Questo è, Cristiani di Allah, una storia d’amore, colorata di noir.
Ambientata ad Algeri nel 1541 il romanzo racconta il mondo corsaro ed in particolare lo scontro fra quelli cristiani da una parte e quelli musulmani dall’altra.

Non era solo la fame a spingerli, ma il fatto che ad Algeri, a Chercell, a Tunisi e in ogni altra città corsare il destino non era deciso dalla nascita ma dalla fortuna, dal coraggio e dal valore di ognuno.

Lo scontro corsaro è ovviamente solo un pretesto per raccontare la civiltà dell’epoca, i conflitti religiosi (così attuali) e quelli culturali… poi c’è l’amore, la religione e gli intrighi di potere.
La città di Algeri, animata e coloratissima, si prepara a respingere l’attacco del potente Carlo V, -simbolo della cristianità- che vorrebbe prevalere una volta per tutte sul mondo islamico.
Qui si snoda la storia d’amore, delicatamente tratteggiata, tra i due protagonisti.

Lui tedesco, io albanese. Era bastato uno sguardo per capire che a entrambi piacevano gli uomini, ma c’era voluto un intero lungo mese per conoscerci fidarci e avvicinare le nostre bocche per il primo timido bacio. Il nostro amore era troppo amore per passare inosservato alle donne che a centinaia seguivano le truppe, eccitate dagli eccessi della guerra e dal rigore delle parole di Lutero, e saremmo finiti ai ceppi, trafitti dalle picche secondo l’uso del reggimento se non fossimo riusciti a fuggire. Ovvero due mercenari sodomiti erano destinati solo alla morte. […] Amavo Othmane più della mia stessa vita. Se non lo avessi incontrato sarei rimasto tra i lanzichenecchi, un burattino feroce senza dignità. Sarà proprio l’amore per il germanico a condurre la sua vita e l’intera storia.

Quello che più mi ha colpito in questo romanzo è stata proprio il garbo con il quale è descritto questo sentimento.

Ero tentato di chiedergli del turco con cui aveva amoreggiato al bagno, ma tenni a freno la lingua. Era il momento di usarla per le magie dell’amore, non per soddisfare stupide curiosità.

A questa delicatezza si contrappone la forza e la sconsideratezza dei gesti che in suo nome vengono compiuti.

Si era perso in un labirinto di sentimenti e passioni e ora, sempre più confuso non riusciva a orientarsi.

Accanto alle figure dei due protagonisti emergono quelle del reggente di Algeri:

Il Barbarossa aveva scelto l’uomo giusto per la reggenza di Algeri. Quel pastorello sardo rapito durante una scorreria e cresciuto all’ombra del suo padrone, che lo aveva castrato affinché il suo unico scopo nella vita fosse servirlo, era diventato degno del titolo di beylerbey.

Lo affiancano i Giannizzeri sua guardia personale:

erano intoccabili, noti per la loro crudeltà ed assenza di scrupoli. […] agivano alla luce del sole solo in battaglia, altrimenti erano infidi e contorti.

Ricordo poi la figura infida del proprietario della locanda, quella del fedele Ahmed loro servo, di Lucia la straziante cantante veneziana, del medico cerusico Pedro de Choya, quella della futura sposa morta per essere stata ingozzata con polpette di pasta intrise di olio perché le donne in Turchia piacciono

ricoperte di quel bel grasso tremolante che rende bella ogni donna.

Tutti loro insieme alle descrizioni degli arrembaggi, degli xabequeros, delle taverne e della vita del tempo contribuiscono a tratteggiare finemente un’epoca che sebbene sia temporalmente lontana da noi ma non è poi così diversa .
Alla fine Redouane inseguendo il sogno d’amore e di libertà si ritrova imbarcato verso il Nuovo Mondo:

Mi sentii perduto e maledissi il germanico che mi aveva rovinato l’esistenza per la temerarietà di voler assaggiare a tutti i costi un frutto proibito. […] Ogni tanto accarezzo l’elsa della katzbalger, la corta spada appartenuta ad Othmane […] quando sbarcherò mi arrampicherò sulla vetta di una collina, la pianterò a fondo nella terra e potrò finalmente dirgli addio. E poi mi allontanerò senza guardarmi indietro.

Digressione

N.d.A.

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